Un polittico: perché?

Un polittico: perché? Forse è la metafora migliore per descrivere la densa complessità di questo racconto. Immaginarlo come un grande polittico dà ordine ad un caos apparente. Proprio perché è un’immagine, un polittico permette che ogni pannello sia letto idealmente in modo simultaneo con tutti gli altri. La retta comprensione si ha solo nel nesso della parte con il  tutto.

D’altra parte il destino di questo lungo racconto ricorda da vicino quello di molti polittici smembrati. La scelta editoriale in molti paesi europei di pubblicare solo il secondo romanzo, come se il primo non esistesse, è la stessa operazione che porta a disarticolare i polittici. I pannelli di un polittico non sono autonomi, il loro senso sta nella relazione che le parti del testo istituiscono tra loro e con il tutto. Ma procediamo con ordine.

Un polittico: perché?

Dall’Introduzione del saggio di Ferdinanda Cremascoli, Stalingrado, il polittico di Vasilij Grossman, Biblioteca di ItalianaContemporanea, edizione digitale, maggio 2020.

Un intreccio impegnativo. 

La dilogia su Stalingrado di Vasilij Grossman è un testo dalla lettura impegnativa. Anzitutto per la sua stessa mole. La storia è un ordito degli eventi storici sul fronte orientale tra l’estate del ’42 e l’inverno del ’43, con retrospettive sull’estate ’41. Su questo ordito s’intreccia una trama sofisticata di vicende umane e di prospettive molteplici. È lettura impegnativa anche per il montaggio delle diverse storie, intrecciate secondo una logica che il testo stabilisce, ma che è arduo cogliere in prima lettura.

Un esempio

Si prenda uno qualsiasi dei principali personaggi e si noterà la dispersione nel testo degli episodi che lo riguardano. Mostovskoj ad esempio compare in Per una giusta causa alla festa in casa Šapošnikov (I, 8) e già si manifestano alcuni tratti del suo carattere. L’attenzione torna su di lui pochi capitoli dopo, quando è narrata la sua storia personale (I, 12) con lo scopo di delinearne meglio il profilo.

Una volta definita, la cifra del personaggio emerge in altri episodi sparsi nell’intera dilogia, di norma molto distanti tra loro. L’attitudine di Mostovskoj all’intolleranza polemica emerge nel dialogo con l’amico Gagarov in Per una giusta causa (I, 57) e molte pagine dopo, in Vita e destino, quando nel lager nazista si confronta con il menscevico Černecov (I, 4-6). Le sue convinzioni internazionaliste sono testimoniate nell’incontro con gli operai nella fabbrica Ottobre Rosso in Per una giusta causa (II, 58) ed in Vita e destino (I, 73), quando ammira e appoggia il piano del maggiore Eršov. E così via. Come Mostovskoj qualsiasi personaggio di questo lungo racconto è nodo di una rete che rimanda ad altri episodi che lo riguardano, o ad altri personaggi, o alle vicende storiche sottese.

Dunque prima esigenza del lettore è non perdersi in un testo così vasto e composito. Poi, seconda esigenza di un lettore ideale, è comprendere come e perché lo scrittore abbia montato le sue storie così come le leggiamo, finite, sulla pagina scritta.

Ma anzitutto come orientarsi tra tanti personaggi, tante vicende? 

Il polittico come metafora ordinatrice

In un polittico la figura centrale è quella che orienta tutte le storie che intorno ad essa si organizzano in modo non lineare, ma spaziale. Conta la posizione dei pannelli, a destra e a sinistra della figura centrale, sopra e sotto. Nella dilogia di Vasilij Grossman, come in un polittico, i legami tra una storia e l’altra obbediscono a leggi che il testo stesso crea, talvolta in forme esplicite, talora in forme velate, ed una lettura ipertestuale, come quella che un polittico richiede, permette di coglierle. 

Nella dilogia grossmaniana il primo personaggio della storia è un contadino, Pëtr Semënovič Vavilov. Compare nel terzo capitolo di Per una giusta causa, prima della famiglia Šapošnikov, attorno alla quale ruotano poi i personaggi del racconto. Anche se la vicenda di Vavilov si esaurisce nel primo romanzo, la sua storia è esemplare: è la tragedia delle campagne russe, cioè del popolo di quel paese, che ancora dopo la conclusione della Prima Guerra Mondiale è in larghissima parte contadino.

È questo il grande tema del polittico grossmaniano: le catastrofi subite dal popolo, e insieme la sua resilienza. Benché non coltivi facili ottimismi sulla bontà degli esseri umani, o sulla positività della nozione di “popolo”, questo romanzo caparbiamente narra gli individui, che pure esistono, come Vavilov, portatori delle più alte qualità umane, di benevolenza e coraggio e pazienza;  portatori dell’aspirazione, umana anch’essa, alla libertà personale e alla giustizia sociale. Ecco perché il primo personaggio del racconto è un contadino.

Segue la presentazione della famiglia Šapošnikov, nelle varie e articolate vicende dei personaggi che hanno legami di parentela o di amicizia con la famiglia stessa. Il finale del romanzo è incentrato ancora sulla famiglia, anzi sull’immagine di una tavola apparecchiata.

La prima e l’ultima parola

Ma non è l’ultima parola del romanzo. Se la prima è stata di Vavilov, l’ultima è di un soldato, in una costruzione, per così dire, chiastica: Vavilov-Šapošnikov/Šapošnikov-Berëzkin. L’ultima parola spetta infatti al maggiore Berëzkin, un militare di professione, coraggioso, il cui valore è spesso misconosciuto e, quando è apprezzato, lo è in modo fortuito, e comunque innocuo per gli alti comandi.

Eppure la vittoria nella guerra contro i tedeschi è merito non dei grandi generali, né tantomeno di Stalin, come vuole la leggenda che si crea attorno a loro. La vittoria si deve agli uomini come Berëzkin, e come Vavilov, e come innumerevoli altri, gli uomini della stazione, gli uomini del Sei barra uno.

Agli uomini come i due fratelli Novikov, e ai giovani come Tolja, come Kovalëv e Viktorov, e ai vecchi come Poljakov, e alle donne, giovani come Katja come Lena come Vera, e più mature come Sof’ja e Tamara e Aleksandra e Christja, e a innumerevoli altre: a loro, alla loro forza interiore e al loro senso di solidarietà il popolo sovietico deve la vittoria.

Il maggiore Berëzkin rappresenta tutti quei combattenti che contrastarono l’offensiva tedesca già nei primi giorni di guerra, mentre gli alti comandi versavano nella più paralizzante e mortale confusione. Rappresenta tutti i soldati che seppero efficacemente organizzare la controffensiva, perché seppero trovare tra loro «quei legami umani, quella solidarietà umana così importanti ed indispensabili in combattimento e senza i quali la vittoria è impensabile» (PGC, II, 42).

La fiamma degli incendi e la fiamma dei crematori

La forza paziente del popolo sovietico paga alla guerra un tributo gigantesco. La sua indicibile sofferenza si materializza nel fuoco, nel rogo di Stalingrado, e nella fiamma nefanda accesa presso le fosse comuni e presso i crematori nei campi di sterminio.

La Shoah, raccontata in modo documentato, preciso, e in anticipo su tutti gli studi storici successivi, è sentita come parte della più generale catastrofe, causata dall’affermazione nella prima metà del XX secolo in Europa, Russia inclusa, di regimi, la cui essenza è nella negazione dei principi democratici di libertà, uguaglianza e fraternità. Tale negazione conduce al disprezzo per la vita umana, alla violenza, alla deportazione, al lager, e alla guerra.

La tragedia degli ebrei per Grossman è epifania «dell’epoca degli stermini totali», come ricorda l’amico fraterno Semën Lipkin nella memoria, Le destin de Vassili Grossman, che scrisse nel 1990.

Il polittico ideale: pannelli centrali

Il polittico grossmaniano dunque racconta nel suo ideale pannello centrale la tragedia dei contadini, del popolo, e si articola in un pannello superiore sulla barbarie della Shoah, e in un pannello inferiore, un’ideale predella, che raffigura l’incendio di Stalingrado.  Mai, nemmeno l’incendio di Troia nel secondo libro dell’Eneide, mai incendio è stato narrato con tanta potenza di immagini, con tanta vivezza di sensazioni mai provate prima, dal calore sconosciuto, all’odore ignoto

Pannelli di destra

A destra della figura centrale di questo polittico ideale è rappresentata la difficile ed aspra vita quotidiana di tutto il popolo sovietico. Ecco figure esemplari di operai, minatori, scienziati, madri di famiglia, giovani, vecchi, orfani … tutti, uomini e donne di ogni età, di ogni classe sociale, di ogni mestiere, alla maniera di Čechov, a rappresentare la Russia intera. La varietà e molteplicità umana sono la realtà. Si possono criticare, compatire, rispettare, amare, ma soprattutto conoscere in tutte le loro forme. Sono incluse le vicissitudini degli animali, dai topi alle lepri, dai piccioni alle cicogne, sconvolti dalla guerra in paesaggi devastati e maestosi, eterni e sconvolti. 

Pannelli di sinistra

A sinistra della figura centrale prende vita il racconto del popolo al fronte: la sua resistenza accanita negli episodi di guerriglia urbana. Ecco allora le figure dei generali dell’Armata Rossa e degli uomini di partito; le figure dei due dittatori, Hitler e Stalin. E non manca l’indagine sulle figure di tedeschi, in patria e al fronte e nei campiti sterminio, alla ricerca della soluzione di un enigma sconvolgente, quello del loro consenso al regime e della loro collaborazione scellerata alla Shoah.

Un polittico: perché?
La struttura del polittico, immaginata per l’opera grossmaniana, è modellata su quella di Giovanni Canavesio, conservato nella chiesa parrocchiale di Verderio, in provincia di Lecco, in Italia.

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