Vita Nova: oltre l’amor cortese

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In quella parte del libro della mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice Incipit vita nova . Sotto la qual rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d’assemplare (“trascrivere”) in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenzia. (Vita Nova, I)

Vita Nova: oltre l’amor cortese. Tra il 1292 e il 1294 Dante compone la Vita nova. L’opera è il risultato di una selezione: tra le proprie liriche del decennio precedente. Il poeta sceglie quelle che giudica più adatte a significare una vicenda amorosa esemplare.

L’organicità dell’antologia dei versi è garantita dai raccordi in prosa che, secondo la volontà del poeta, hanno funzione di racconto e commento della vicenda d’amore. Il poeta la rilegge nella propria memoria come fosse scritta nelle pagine d’un libro. Ii titolo («rubrica») di solito è scritto in rosso e preceduto dal verbo «Incipit», cioè «Incomincia».

Vita Nova: oltre l’amor cortese. Relazione di Ferdinanda Cremascoli. Tutte le citazioni dell’opera sono tratte da Vita nova, a cura di Domenico De Robertis, in Dante Alighieri,Opere Minori , t.I, p.I,Ricciardi, Milano-Napoli, 1984

La Vita nova  è  dedicata a Guido Cavalcanti. È rivolta cioè ad un pubblico molto ristretto e selezionato di amici che con il poeta condividono gusti ed ideali di vita, amici  che come lui sono «fedeli d’Amore». L’opera racconta infatti l’amore di Dante per Beatrice, dal primo incontro fino ed oltre la morte di lei.  La memoria dell’amata si esprime dapprima in forme cortesi, per diventare sempre più esperienza mistica, in cui l’amore diventa mezzo di elevazione a Dio. 

I modelli latini della Vita Nova

I modelli di Dante sono da ricercare nella letteratura latina, ma anche in quella provenzale. Tra i modelli latini un’opera in prosa e versi molto diffusa nel Medioevo:  il De consolatione philosophiae  (La consolazione della filosofia) di Severino Boezio.

Questo filosofo era nato a Roma nel 480 dopo Cristo e morto a Pavia nel 526B. Boezio apparteneva ad  una famiglia dell’alta aristocrazia romana. Fu console nel 510 e poi consigliere del re ostrogoto Teodorico, che lo sospettò di tradimento e lo fece imprigionare e uccidere a Pavia. In prigione scrisse la sua opera più famosa, il De consolatione philosophiae,  in forma di dialogo tra lui stesso e la filosofia. E’ un opera scritta in versi e in prosa. Fu una lettura in cui Dante cercò conforto dopo la morte di Beatrice, come dichiara in un passo del Convivio (II, 12, 2) . 

Un’altra opera latina che Dante ha tenuto presente è un dialogo di Cicerone, Laelius, de amicitia (Lelio o dell’amicizia). Infatti in quest’opera compare il tema centrale della Vita nova : l’amore disinteressato, che ha in sé la propria ricompensa e che non può esistere senza virtù.

I modelli provenzali

Tra i modelli provenzali possiamo annoverare le ”vidas” , cioè le biografie di trovatori scritte da altri trovatori. E le “razos”, brevi introduzioni in prosa ai canzonieri provenzali. In effetti il “libello” dantesco (“libricino”, così Dante lo chiama affettuosamente) è un commento ai propri versi ed una autobiografia ideale. 

I temi del “fin amour” cioè dell’amor cortese

Dalla poesia provenzale e cavalleresca anche Dante, come Guido Guinizelli, Guido Cavalcanti e altri poeti toscani, accoglie i temi dell’amor cortese, ma in modo più coerente e rigoroso egli sottopone questi temi ad una revisione teorica tesa a cancellare ogni contraddizione possibile tra il tema stesso d’amore e i principi della dottrina cristiana, che nell’amore vede una formidabile occasione di errore per l’attrazione che esso esercita verso ciò che è terreno e dunque effimero.

Così nella Vita nova compaiono molti dei temi propri del codice del “fin amour”: l’innamoramento, le qualità e il comportamento di chi ama e dell’amata, gli effetti d’amore. Ecco allora il motivo degli occhi e dello sguardo, attraverso cui l’amore colpisce; il motivo della donna-schermo, che con discrezione protegge l’identità dell’amata. 

Non manca il motivo dell’elogio, che tuttavia si sviluppa più sulle qualità intellettuali e morali dell’amata che sulla sua bellezza fisica, cui si allude in modo assai stilizzato. Infine è da segnalare il motivo della gentilezza, come qualità propria di chi ama: ma, se nella letteratura cortese e cavalleresca è capace di amore cortese solo chi è di nobile origine, qui la nobiltà è ormai qualità morale e non distintivo sociale. Coloro che hanno animo gentile costituiscono anche i lettori cui idealmente il poeta si rivolge. Simbolo di questo pubblico colto sono le donne, cui spesso Dante si rivolge nelle proprie liriche. 

Il motivo del saluto

La raccolta di Dante è tuttavia molto originale non solo se confrontata con il repertorio francese, ma anche con la stessa lirica di Guido Guinizelli e di Guido Cavalcanti. La Vita Nova è oltre l’amor cortese. I

Il tema che assume grande importanza nella Vita Nova è il saluto della donna amata, che è insieme segno della sua benevolenza e pegno di salvezza eterna.

In Dante, ma già in Guinizelli e in altri poeti che Dante chiamerà in un passo del Purgatorio (XXIV, 57), i poeti del “dolce stil novo”, compaiono i motivi del “passaggio per via” e del “saluto”: la donna amata si rivela nel suo mostrarsi e il suo saluto è atto che ricambia la devozione amorosa dell’amante e gli dà speranza di beatitudine eterna, è rivelazione della via che conduce alla salvezza, che Dio nella sua misericordia vuole rendere evidente a tutta l’umanità; il saluto dell’amata è infine esempio  per le altre donne, che si facciano anch’esse segno manifesto della bontà  divina verso l’umanità intera. 

Il tema della morte

Un altro importante tema della Vita nova è quello della morte. Più volte ricorrente, esso riassume il senso della dottrina amorosa dantesca. La donna amata è creatura toccata dalla grazia divina:  uno dei segni che rivela la predilezione di Dio per Beatrice è il numero nove che nei suoi multipli e sottomultipli ha a che fare con la sua vita e la sua morte.

La morte di Beatrice così non è soltanto un evento drammatico e luttuoso: occorre riconoscerne il significato simbolico. Non la fine della vita, ma l’inizio della vita vera. Non più flusso del tempo che scorre, ma perenne eternità. La morte di Beatrice è la morte del giusto che è destinato alla beatitudine eterna nella gloria di Dio. Comprendere tutto ciò è laborioso, difficile per l’uomo che ha perduto colei che ama e cerca conforto al proprio dolore: ma ogni consolazione è erronea, se della morte non si comprende il significato di trapasso verso il regno di Dio.  

Interpretazioni

Le interpretazioni della Vita nova, come per tutti i grandi testi, sono molteplici. Per il significato attribuito nell’opera alla figura di Beatrice, mediatrice di conoscenza e salvezza e per il modo stesso del racconto molti critici hanno voluto leggere la Vita Nova  come una sorta di Legenda Sanctae Beatricis, cioè come un’opera agiografica.

Nelle “Vite dei Santi” l’uomo di Dio è riconoscibile per molti segni, comprensibili a chi sappia guardare oltre la lettera; e nell’attività del santo, nei suoi miracoli, si dispiega la potenza divina. Allo stesso modo nel libello dantesco Beatrice si preannuncia fin dall’inizio come creatura eletta, che presiede all’itinerario di formazione dell’io lirico.

Il titolo stesso dell’opera a questo itinerario allude, perché mentre rinvia alla giovinezza del poeta, contemporaneamente valorizza il rinnovamento spirituale operato dall’amore e riecheggia così la “renovatio” cristiana, cioè la liberazione dell’uomo dal peccato ad opera della grazia divina, degna di un “canticum novum”, di «un nuovo canto di lode».

Oltre il tema cristiano

Oltre al tema cristiano, altri lettori hanno sottolineato i valori poetico-letterari dell’opera, che certamente è sintesi e insieme superamento della poesia d’amore siciliana e toscana della prima metà del XIII secolo. Il giudizio è motivato dall’originalità della dottrina amorosa dantesca. Come già detto, la Vita Nova va oltre l’amor cortese, si sforza di assegnare al tema d’amore un significato non contrastante con il pensiero religioso, ed anche dalla grande perizia tecnica che Dante già mostra nei versi che scelse per questa raccolta: tra le molte composizioni che conosciamo nelle Rime, egli scelse per la Vita nova quei testi  più vicini alla versificazione siciliana e guittoniana, ma soprattutto è forte l’eco di Guido Cavalcanti, da cui tuttavia  il poeta presto diverge per scegliere come nuovo punto di riferimento la “loda” dell’altro Guido, Guinizelli, che abbandona infine, manifestando il desiderio di scrivere per la «gentilissima» un’opera «inaudita».

Beatrice nella vita del poeta

Infine c’è chi ha insistito nel ricercare corrispondenze tra l’opera e la vita del suo autore. Ma occorre anche osservare che la vicenda, benché presentata come autobiografica, assume un alto significato simbolico. Non si deve dimenticare che Dante concepisce la lettura come un’attività che prende le mosse dalla lettera del testo, ma è capace di guardare oltre la lettera, in modo da cogliere un suo senso più nascosto (si veda più avanti il capitolo dedicato al Convivio). Perciò se pure si possono individuare  le corrispondenze tra l’opera e la vita di Dante, è necessario comprendere il significato allegorico di quest’opera e il suo complesso sistema di simboli. 

Scheda della vicenda narrata

La storia narrata nella Vita nova: la lettera e il senso simbolico

Capp. I / II .  L’incontro fra Dante e Beatrice avviene quando il poeta ha nove anni e Beatrice ha otto anni e quattro mesi.  Nove anni dopo il poeta ottiene da Beatrice il primo saluto. Nel primo incontro Beatrice appare vestita di «nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno». L’effetto sull’amante: si turbano tutti insieme lo spirito della vita (cuore), lo spirito animale (cervello), lo spirito naturale (stomaco): l’uno trema, l’altro si meraviglia, il terzo piange.

Tre gli aggettivi per la donna amata e triplice è l’effetto indotto sul giovanissimo amante. Il turbamento dei tre spiriti vitali simboleggia i tre stili del discorso:  alto, medio ed elegiaco. Il tre è numero mistico, il suo significato è dottrinale, perché tre  è simbolo della Trinità ; il suo significato è letterario, perché tre sono i generi che la retorica  antica e medievale riconosceva. Quanto al nove, il numero di Beatrice, è multiplo di tre.

Cap. III. Tornato alla sua camera il poeta ha in sonno una visione. Amore prima allegro, poi in lacrime, dà in pasto a Beatrice, dormiente tra le sue braccia e poi desta, il cuore dell’amante.  In un sonetto (A ciascun alma presa e gentil core) il poeta decide di sottoporre il contenuto di quella visione ad altri famosi trovatori tra cui  Guido Cavalcanti, «il primo de li miei amici».

Il cuore dell’amante divorato è tema letterario; compare in una “Vida” del trovatore provenzale Guglielmo di Cabestanh. Ancora un motivo letterario: quello della “tenzone” tra poeti. Il testo si configura come libro di un poeta per un pubblico selezionato di poeti o di amanti della poesia.

Capp. IV/VI. Dante tace a tutti il suo segreto, che  rinforza con l’invenzione di una donna-schermo del vero amore. Ma con la volontà di lodare la donna amata, Dante dice di  aver composto in quel tempo un sirventese  sulle sessanta donne più belle di Firenze,  in questo catalogo, il nome di Beatrice  si colloca da sé per giusta rima al nono posto.  

E’ prassi del codice d’amore cortese sottrarre alla curiosità degli invidiosi la donna amata, di qui l’uso in quella poesia delle donne-schermo cioè di dame cui il poeta dedica i suoi versi per mantenere assolutamente riservato il nome dell’amata.  Torna la simbologia legata al numero: Beatrice è un nove.

Capp.VII/IX. Partita la donna dello schermo, Dante le dedica nuovi versi (O voi che per la via d’Amor passate); ne dedica altri anche ad un’amica di Beatrice, appena morta. Poi Dante parte e lungo la strada gli appare Amore, vestito da misero pellegrino, che gli ispira l’immagine di una seconda donna dello schermo.

Il componimento sulla partenza della donna-schermo ha uno schema metrico guittoniano, come uno dei due componimenti che piangono la morte dell’amica di Beatrice. Il poeta li chiama «sonetti», ma sono testi di venti versi, endecasillabi più alcuni settenari. Le rime si ripetono sempre uguali nelle due strofe di dieci versi ciascuna, secondo lo schema A a B A a B A a B A In questi testi Amore parla per la prima volta in volgare.

Capp.X/XVI. Ma l’espediente della donna-schermo crea voci di una relazione disonesta, tanto che Beatrice toglie a Dante il suo saluto. Tornato piangente nella sua camera, il poeta ha una nuova visione nella nona ora: Amore, «giovane vestito di bianchissime vestimenta»  gli rivela le ragioni del saluto mancato e lo invita ad abbandonare ogni finzione. Condotto in una casa dove alcune donne s’erano radunate in festa, Dante incontra Beatrice. Grande il turbamento quando si accorge che Beatrice e le altre si prendono gioco di lui. Di qui l’insistenza del poeta nel racconto del proprio tormento.

Nella visione di Dante  Amore s’esprime in latino ed in volgare e consiglia al poeta d’inviare una poesia alla sua donna e gli dà consigli tecnici: non si rivolga il poeta direttamente alla donna, ma ai suoi stessi versi e li adorni di «soave armonia». In questi capitoli  il modello di Dante è Guido Cavalcanti: da lui infatti derivano i motivi del saluto negato, dell’amore passione, del conflitto interiore e del contrasto con la donna amata.

Capp.XVII/ XXI. Alcune donne vengono in aiuto al poeta. Le sue rime fino a quel momento sono state ambigue: si sono incentrate sulla sua sofferenza d’amante e non sull’elogio dell’amata. Dante perciò enuncia il suo proponimento di scrivere d’ora in poi per Beatrice e per tutte le donne gentili solo per tessere la lode dell’amata. 

CAmbia il modello di Dante: sia la canzone del cap. XIX,  “Donne ch’avete intelletto d’Amore”  e il sonetto del capitolo successivo “Amore e ‘l cor gentil sono una cosa”  sono molto vicine alla poesia di Guinizelli. L’elogio dell’amata e dei suoi effetti beatificanti è anche nel sonetto successivo  “Ne li  occhi porta la mia donna Amore”

Capp. XXII/XXV. Muore il padre di Beatrice, grande è il dolore anche di Dante che dopo nove giorni di malattia cade in delirio e immagina la morte di Beatrice; guarito, la racconta in una canzone “Donna pietosa”. V’è poi un nuova visione: il poeta vede avanzare a sé una donna, già amata dal suo amico Guido Cavalcanti. Giovanna è il suo nome e il suo soprannome “Primavera”, cioè, interpreta Dante ,”prima verrà”, infatti la segue Beatrice.

Il rapporto istituito tra  Giovanna e Beatrice è segno della natura divina di Beatrice stessa. Giovanna-Primavera la precede così come Giovanni Battista precede il Cristo. Ma  Giovanna che prefigura Beatrice ha anche un altro significato: è un giudizio sulla poesia dell’amico Cavalcanti. I suoi versi prefigurano quelli di Dante, che, porterà a pienezza l’opera intrapresa. La simbologia legata al nome di Giovanna offre al poeta l’occasione per esporre il suo pensiero sul “parlar figurato”, egli affronta cioè un problema retorico.

Capp. XXVI/XXVII . La visione di Beatrice dà all’amante la beatitudine: qui sono i sonetti “Tanto gentile”  e “Vede perfettamente”, in cui l’elogio tocca il suo culmine.

Al poeta pare d’essersi espresso ancora in modo difettivo, non sufficiente ad esprimere intero il valore di Beatrice. Prova allora ad esprimersi in una misura più ampia del sonetto: qui trova posto la stanza di canzone non compiuta  “Sì lungiamente”.

Capp. XXVIII/XXXIV. Beatrice muore; Dante scrive un’epistola in latino per dire annunciarne la morte e poi una canzone “Li occhi dolenti”. Un fratello di Beatrice si reca da Dante a chiedergli dei versi di compianto. Poca cosa sembra a Dante, perciò al sonetto “Venite a intender”, aggiunge una canzone in due strofe. Un anno dopo, nell’anniversario della morte di Beatrice, mentre Dante disegna su una tavoletta la figura d’un angelo, è interrotto nel suo lavoro dal sopraggiungere di alcuni uomini, cui Dante dedica il sonetto che scrive dopo che essi si sono allontanati.

Il capitolo si apre con una citazione delle “Lamentazioni” di Geremia: il mutamento del tono è repentino e particolarmente evidente. Dante dice che con queste parole ha incominciato un’epistola in latino per annunciare al mondo la morte di Beatrice. Ma non intende riportare in questo “libello” quell’epistola perché il destinatario cui esso è dedicato «questo mio primo amico», cioè Cavalcanti, vuol leggere solo in volgare.  La simbologia del nove è qui discussa. L’ora, il giorno, il mese, l’anno della morte di Beatrice dimostrano che ad essa  si associa il nove. Il sonetto del cap. XXXIV è famoso perché ha due inizi: Dante ci lascia entrambe le varianti della sua opera: anche questo è un motivo letterario.

Capp. XXXV/XXXVIII. Una donna gentile ha compassione del dolore di Dante ed egli si sente attratto  da lei e presto se ne pente perché gli pare che il suo cuore tradisca la sua anima.

Amore qui rivela  la sua pericolosità: esso sollecita l’«appetito sensitivo» sviando la ragione. È già in sintesi il motivo dell’insidia amorosa che ritroviamo nel celebre episodio di Francesca nell’Inferno.

Cap. XXXIX. Compare nell’ora nona una nuova visione di Beatrice,  vestita con l’abito rosso del primo incontro: la vita nuova ricomincia Dante si pente dell’amore coltivato contro «la costanzia della ragione» .

Capp. XL/XLII. Gruppi di pellegrini durante la Settimana Santa passano da Firenze. Ad essi Dante si rivolge, perché essi sappiano che la città ha perso «la sua Beatrice». E in un ultimo sonetto egli racconta un’ultima visione quella di Beatrice, nella gloria del Paradiso. Dopo questa visione il poeta decide di tacere finché non sarà in grado di trattare più degnamente della donna amata.

Al passaggio dei pellegrini Dante accosta la visione dell’ascesa del suo spirito «oltre la spera che più larga gira» cioè nel cielo empireo. Al viaggio terreno egli associa la visione di un viaggio dello spirito che oltrepassa i cieli attratto dallo spirito d’Amore e giunge a completa conoscenza.

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