Missili su Odessa

Missili su Odessa. Reportage di Francesco Semprini inviato de La Stampa del 24 aprile 2022. Gli eroi della quotidianità: sono quelli che guadagnano il titolo sul campo, ogni giorno, quelli che imbracciano il fucile, la vanga, la fede o si mettono al volante per salvare anime quasi perdute. Quelli che non si arrendono. A Kherson gli invasori hanno fissato per il 27 aprile un referendum per una fantomatica repubblica. La popolazione non ci sta e protesta sfidando i russi.

Su ItalianaContemporanea il reportage Missili su Odessa è rubricato nella pagina “Ucraina“, deidratata alla guerra della Russia contro l’Ucraina. Il testo consta di 1.200 parole e richiede un tempo di lettura di quasi sei minuti.


«Non solo Donbass? Vedremo». Nella guerra ci sono gli eroi della quotidianità, quelli che guadagnano il titolo su campo, ogni giorno, quelli che imbracciano il fucile, la vanga, la fede o si mettono al volante per salvare anime quasi perdute. Ne abbiamo conosciuti diversi in quaranta giorni di Ucraina, il filo conduttore è «qualsiasi cosa si faccia lo si farà sino in fondo». È questo il senso della resistenza civile e militare ucraina.

Nel compimento del secondo mese di guerra in Ucraina appare ormai chiaro che la campagna di Putin ha ambizioni assai più ampie e aggressive. Ieri, queste ambizioni sono apparse nei cieli di Odessa sotto forma di missili sparati da bombardieri Tu-95 dal mar Caspio. Dei sei missili da crociera sparati, due sono stati intercettati, due hanno colpito infrastrutture militari e altri due edifici residenziali. Le vittime sono otto, tra cui un bambino di 18 mesi. Dormiva nella sua culla, racconta la nonna sotto choc, «al telefono non rispondeva più nessuno, è morto così, nel sonno. Secondo Mosca è stato colpito un «deposito di armi straniere».

Zelensky, intanto, torna a parlare – «Per i russi non abbiamo diritto alla vita» -, torna a chiedere armi all’Occidente e, mentre si dice pronto a incontrare Putin per fermare la guerra ammette: «Io non ho proprio il diritto di avere paura, perché il nostro popolo ha mostrato di non aver paura di nulla».

Il leader del Cremlino sta giocando a carte scoperte e per bocca dei suoi generali annuncia che l’obiettivo dell’«operazione militare speciale» è ottenere il controllo di un grande corridoio che dal Donbass arrivi alla Transnistria, la porzione separatista della Moldova dove sono già basate truppe russe. Questo significa che nelle mire di Mosca c’è l’Ucraina meridionale, in particolare il lungo tratto di costa che si affaccia al Mar d’Azov e al Mar Nero connesso con la Crimea e con Mariupol che avrebbe il ruolo di giuntura tra il fianco orientale e meridionale. In questo modo la Russia priverebbe l’Ucraina dello sbocco sul mare infliggendole una stangata letale in termini economici, oltre che militari.

Appare chiaro che dopo il ritiro da Kiev e l’affondamento della nave Moskva, Putin voglia alzare il tiro forse nella convinzione (avvalorata dal suo Stato maggiore) che la seconda fase della guerra stia andando come deve. A Kherson gli invasori hanno fissato per il 27 aprile un referendum per una fantomatica repubblica, altra tessera di un mosaico che ricalca il mito della Novorossiya, il territorio della zarina Caterina dal Donbass ad Odessa. La popolazione non ci sta e protesta sfidando i russi, come gli eroi civili di Shevchenkove, Mikhail, Masha, il Pope della chiesetta bunker, dove il «vero scudo è la fede e la preghiera». E la generosità mostrata quando non hanno esitato per ripararci dal fuoco dei mortai di Putin. Ultimi irriducibili che sopravvivono tra le rovine di una guerra che non riescono ancora a comprendere. Lì, di nazisti nemmeno l’ombra. La piccola casa del Signore è divenuta unico punto di ritrovo degli irriducibili rimasti a Shevchenkove tra Mykolaiv e Kherson. Una decina sono asserragliati in quel piccolo rettangolo di mattoni carico di icone e immagini religiose, una parte è stata adibita a magazzino per la raccolta di generi di prima necessità destinati alla comunità. Non si percepisce una particolare concitazione per gli attacchi, assuefazione o rassegnazione? Il Pope ci guarda con gli occhi sbarrati senza rispondere, mentre quando gli chiediamo se c’è un bunker. «Si è questo», dice rivolgendosi all’altare e inginocchiandosi. I russi da Shevchenkove sono stati cacciati, ma in molti sono sicuri che dopo la “messa in sicurezza” di Mariupol le truppe russe affluiranno a Kherson per tentare un’altra spallata.

La presa della città martire potrebbe però aver galvanizzato fatalmente Mosca che nel Donbass procede a passo meno spedito del previsto. Il 9 maggio, anniversario della vittoria del 1945 nella Grande guerra patriottica contro l’occupante nazista, è vicino. Un “ricorso” storico che Putin fa coincidere con l’”operazione militare speciale” per la “denazificazione” dell’Ucraina. Ed è per questo che nelle città occupate il Cremlino ha dato ordine di issare la bandiera rossa con la falce martello. Prima di vedere vessilli del genere nelle principali città del Donbass sotto il controllo governativo, Kramatorsk e Sloviansk, si dovrà attendere ancora. L’arrivo di armi occidentali e la determinazione della resistenza ucraina dilata i tempi di una campagna nonostante la sterminata (ma talvolta obsoleta) macchina da guerra messa in campo da Putin. Donne e uomini ucraini devoti alla causa e pronti all’estremo sacrificio come gli eroi di Popasna, ultimo avamposto sulla linea gotica del Donbass, nella parte bassa del fronte. Una primissima linea, la porta «dell’inferno, come a Stalingrado, dove non ricordo più il silenzio perché i russi bombardano ogni giorno, di continuo», racconta un sergente di ferro ucraino che lì combatte, a settimane alterne, da maggio, da ben prima dell’invasione del 24 febbraio. Prima dell’invasione contava centomila abitanti, ora nessuno. Il paesaggio è spettrale: le abitazioni sono scheletri svuotati dalla furia delle bombe e dei combattimenti. La strada asfaltata è disseminata di crateri, schegge e resti di razzi, i palazzi hanno tutti gli ultimi piani anneriti dalle fiamme e sventrati dalle esplosioni, alcuni eruttano colonne di fumo grigio che si ergono alte nel cielo. Per il 40% è occupata dai russi, il resto resiste grazie ai suoi eroi. Alcuni li avevamo conosciuti a Severodonetsk quando siamo rimasti bloccati nella caserma della polizia militare per due ore sotto i bombardamenti, 40 colpi di artiglieria piovuti grazie al puntamento di un drone russo. Già allora avevano mostrato straordinaria preparazione e altruismo, «ma a Popasna è tutto amplificato dall’iperbole della primissima linea», spiega il militare di un plotone di ritorno al cambio di turno. I loro racconti sono eroici e spettrali al contempo. Popasna è strategica per fermare l’avanzata russa su Sloviansk e Kramatorsk con l’obiettivo di chiudere il Donbass ucraino in una sacca. All’estremo opposto della linea difensiva, più a Nord, è caduta nelle ultime ore Kreminna. A Popasna il secondo avamposto è quello più vicino alle trincee a meno di un chilometro. L’edifico è scarnificato dai colpi di artiglieria pesante, i soldati sopravvivono sottoterra nelle fondamenta di un edificio colpito più volte. Linza, veterano del battaglione Donbass, spiega che «se va bene arriva una granata ogni tre minuti, ma se va male i colpi possono essere anche cinque al minuto». I soldati sono tesi. Chi è in prima linea da più tempo ha lo sguardo perso nel vuoto e fuma una sigaretta dietro l’altra. Il sergente Pavel ammette: «Dall’inizio abbiamo già perso un centinaio di uomini. Le ossa sono sparse fra la terra delle trincee. La città è stata difesa grazie al loro sacrificio». E rivela che non tutta la popolazione è solidale: «Qualcuno attende i russi e ha fornito indicazioni per colpire le nostre postazioni». Nei rifugi bombardati è sicuro che «sono sepolti centinaia di morti, è una piccola Mariupol». I militari dell’unità che deve dare il cambio in trincea si fanno scrivere dai commilitoni i loro cognomi con il pennarello indelebile nero sulla mimetica all’altezza delle gambe, delle braccia e sul petto. «Così, se veniamo fatti a pezzi dall’artiglieria russa, riescono a recuperare i pezzi li mettono nella stessa bara». Chi decide chi va? «Per un turno di almeno tre giorni in trincea tirano a sorte la monetina, anche gli eroi qui non si offrono volontari».

Guida alla lettura

  1. Individuate anzitutto i fatti di cronaca nella loro concatenazione temporale che il reportage narra. Osservate che queste notizie non compaiono nel primo paragrafo, come sarebbe normale in una cronaca.
  2. Il reportage dedica molta attenzione alle persone. Individuate quelle che qui compaiono e i loro tratti caratterizzanti: gli “eroi civili di Shevchenkove”, “gli eroi di Popasna”, “Linza, veterano del battaglione Donbass”. (Non dimenticate di guardare su Google Map dove le località menzionate).
  3. Il reportage dedica molta attenzione anche al paesaggio di questo lembo di Ucraina: che caratteristiche ha?

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