L’asse di tensione principale in Vita e destino di Vasilij Grossman

L’asse di tensione principale in Vita e destino di Vasilij Grossman. Questa è la traduzione italiana dell’intervento di Ferdinanda Cremascoli al Convegno di Mosca 2014. Gli atti del convegno sono pubblicati da EduCatt Università Cattolica di Milano.

Il brandy “Tre valletti”

“Guardate qua, camerati”‘, disse Fresser. Agile come un prestigiatore, tirò fuori da sotto il cuscino una bottiglia da un litro di cognac italiano Tre valletti.

Il cognac italiano Tre valletti! Per me questo è un oggetto della nostra vita quotidiana. L’ultima bottiglia  era ancora in casa nostra pochi anni fa (adesso l’azienda che lo produceva non esiste più).  Che ci fa una bottiglia di Tre valletti in mano a un tedesco, in un ospedale da campo vicino a Stalingrado? In un lampo l’apparizione di questa bottiglia evoca la guerra, la spedizione in Russia degli alpini e la loro drammatica ritirata, raccontata da Mario Rigoni Stern ne Il sergente nella neve. 

Vi sono romanzi che interagiscono anche in modo inaspettato con il mondo culturale del lettore e lo conquistano immediatamente.  

Il coinvolgimento emotivo del lettore di Vita e destino è travolgente fin dall’inizio: il racconto lo precipita nell’inaudita brutalità del lager, nella strenua difesa di Stalingrado, nell’assurda crudeltà dello sterminio degli ebrei, nella dolorosa morte in guerra di tanti esseri umani. 

Nella prima parte, i primi sei capitoli sono ambientati nel lager tedesco dove è prigioniero Mostovskoj; i successivi sette capitoli raccontano di Stalingrado e di Krymov; subito dopo si dipanano le vicende di Strum e della sua famiglia e al capitolo 18 è la lunga e dolorosa lettera di Anna Strum a suo figlio; la morte di Tolja e il dolore nero di sua madre occupano un blocco centrale della prima parte del romanzo. 

Accanto a queste vicende, il cui registro è grave, si svolgono anche storie di ben altro tono. Benché la guerra e le durezze della vita quotidiana non diano tregua (il cibo che scarseggia, la burocrazia che nega un permesso di soggiorno, il freddo,…), il lettore è affascinato dalle riflessioni sulla letteratura russa, dalle osservazioni sull’ambiguità dei sentimenti amorosi, dalla sensazione di grandezza davanti allo spettacolo di un bosco.

Come governa l’autore una materia così vasta e difficile?

Il lettore di Vita e destino si trova immerso in una materia varia e complessa per la serietà dei temi trattati, per il numero dei personaggi e la pluralità delle loro vicende drammatiche ed eccezionali e prosaiche e quotidiane. Ma accanto alla partecipazione emotiva nasce nel lettore anche la curiosità di capire come l’autore abbia potuto governare una materia così vasta e difficile, quale ratio presieda all’accostamento e all’avvicendarsi di tanti personaggi e di tante storie; quali problemi si sia posto l’autore nel montare le diverse storie nell’ordine che il lettore trova nel testo.

Certamente una materia così vasta è intrecciata in modo da mantenere desta l’attenzione di chi legge.  È una tecnica narrativa ben nota alle letterature europee di tutti i tempi fin dall’antichità classica. 

La prima parte del romanzo in effetti presenta  i diversi personaggi e le loro storie (o li rammenta al Lettore, se questi legge Vita e destino come seconda parte della dilogia, la cui prima puntata è costituita da Per una giusta causa):  Mostovskoj e i suoi compagni di lager, Krymov e i combattenti di Stalingrado, Strum con la sua famiglia e Aleksandra Vladimirovna, Getmanov, Novikov, Zenja, Viktorov, Abarčuk, Sofja Levinton, Andreev e Spridonov con Vera, Darenskj. Per tornare a Mostovskoj negli ultimi capitoli, chiudendo così il cerchio che inizia e finisce con il lager di sterminio, il filo rosso di sangue che percorre tutto il romanzo. 

E tuttavia l’intreccio delle vicende in questa prima parte del romanzo non è solo un modo di tener desta l’attenzione del lettore, è piuttosto una scelta funzionale al tema di fondo di tutto il romanzo: il conflitto sempre presente nella vita di ogni essere vivente tra le costrizioni dell’esistente -il destino- e l’istinto, anch’esso sempre presente ed insopprimibile  in ogni essere vivente, non solo nell’uomo, ma particolarmente nell’uomo, alla vita e la vita è libertà. 

Un’esigenza così forte e tenace da avere talvolta la forza di incidere sul destino che sembra già scritto. Per questo la battaglia di Stalingrado fu vinta dall’Armata rossa. La resistenza povera nei mezzi, ma resiliente, degli uomini circondati dai tedeschi e coscienti di morire, ma decisi ad non mollare cambiò il destino della guerra e specularmente si compì il destino della VI armata di Paulus e dei suoi ufficiali che “non avrebbero voluto obbedire al Führer, ma lo fecero fino in fondo”.

L’asse di tensione principale

È questo il tema di assoluto rilievo, “l’asse di tensione principale”, di questo romanzo. Il tema che tiene legate tutte le storie e tutte le riflessioni. 

E per dargli rilievo l’autore usa tutti gli strumenti che uno scrittore di romanzi ha a disposizione: le discussioni tra i personaggi, gli interventi espliciti della voce narrante, ma anche la struttura stessa dell’intreccio, il montaggio delle diverse storie narrate.

Il tema della libertà e specularmente della violenza dei totalitarismi emerge in molti episodi, ad esempio a Kazan tra Strum e i suoi amici, che sembrano dimenticare il pericolo mortale di esprimere liberamente il proprio pensiero. E significativamente è in questo contesto che nasce in Strum l’intuizione di una nuova idea, che sarà alla base della teoria fisica che in seguito egli elabora. 

Ancora più notevoli sono i discorsi di libertà in bocca ai combattenti del Sei barra uno, che sanno di soccombere ai tedeschi, ma sono uniti da un’amicizia così salda, da rapporti così egualitari da cambiare il destino altrimenti ineludibile dell’avanzata tedesca. 

Memorabile il dialogo tra Abarčuk, il bolscevico prigioniero in un lager sovietico con il suo amico Magar, che ormai allo stremo delle forze riconosce l’errore di non aver compreso il senso della libertà. “Non abbiamo mai capito cosa fosse la libertà. L’abbiamo soffocata. Neanche Marx la teneva in gran conto, mentre invece è la base, il senso, il fondamento di ogni fondamento”.

E come non ricordare per l’emozione che suscita il paesaggio scabro e monotono della steppa, che tuttavia in primavera fiorisce, e  l’incontro di Darenskj con il vecchio calmucco?

Nessun episodio è concluso in un arco definito di capitoli

Ma non sono solo i dialoghi tra i personaggi il veicolo del tema della vita  e del destino. Il lettore nota infatti che di norma in questo romanzo nessun episodio è concluso in un arco definito di capitoli.  La figura di Mostovskoj, ma si potrebbero fare moltissimi altri esempi, compare all’inizio del racconto nella prima parte nei primi sei capitoli. Si torna a parlare di lui, come s’ è detto, in chiusura della prima parte nei capitoli 70 e 74. Nella seconda parte del romanzo la figura di Mostovskoj è al centro dei capitoli 15 e 16 nell’icastico dialogo con il nazista Liss. Dopo molti capitoli di Mostovskoj si riparla nel capitolo 40 e nel lapidario cap. 41, dove con un’accelerazione di ritmo straordinaria ne è narrata la morte. 

Nel romanzo cioè si nota una sfasatura tra la struttura formale in capitoli e la struttura logica e questo genera una tensione tra i due piani del racconto, dando spazio alle riflessioni della voce narrante che commenta l’accaduto e invita alla riflessione. 

Gli esempi sono tanti. Nella prima parte al capitolo 11 il narratore svolge una riflessione sulla percezione della realtà concreta della battaglia nel soldato in prima linea. Nel capitolo 42 e nell’ancor più articolato capitolo 50 (e 51) il narratore punta l’attenzione sullo sterminio degli ebrei e sul totalitarismo come forma estrema di violenza. Nella seconda parte il primo capitolo è dedicato all’analisi degli stati d’animo dei soldati ed il capitolo 32 torna sulla genesi e sullo sviluppo dell’antisemitismo. Nella terza parte è cruciale il capitolo 20, dove il narratore svolge una riflessione sul paradosso della vittoria sovietica di Stalingrado: proprio la vittoria sui tedeschi, ottenuta grazie alla lotta per la libertà,  dà a Stalin il potere di affermare il nuovo ordine sociale che ha fondamenta nazionaliste, il socialismo in un solo paese.

Si può dunque osservare che la tecnica del montaggio degli episodi è funzionale ad un’esigenza forte di commento, affidata non solo alla voce narrante, ma anche alla struttura stessa dell’intreccio.

Ecco allora episodi e personaggi accostati perché vivono situazioni simili, ma dall’esito opposto oppure situazioni diverse, ma dall’esito analogo.

Situazioni simili, ma dall’esito opposto; situazioni diverse, ma dall’esito analogo

Sono infatti del tutto simili, ma dall’esito del tutto diverso le vicende di Mostovskoj, di Sofja Levinton e di Semionov. Sono completamente diverse ma dall’esito analogo la vicende di Novikov, Krymov, Strum, Spiridonov.

“Dopo essere stati fermati dai tedeschi in una notte d’agosto alla periferia di Stalingrado”: dell’arresto di Mostovskoj, Sofja Levinton, Semionov e di Agrippina Petrovna si parla al capitolo 3 della prima parte. 

I quattro hanno destini del tutto diversi. Agrippina Petrovna è ucraina e viene subito rilasciata. Mostovskoj è mandato in un lager dove sarà tradito da qualcuno dei suoi e mandato a morte. La vicenda di Sofja, riconosciuta come ebrea e rifutatasi di farsi riconoscere come medico, si interseca con quella del piccolo David, incontrato sul treno che li trascina in un campo di sterminio. La loro morte nella camera a gas (e con che precisione di chimico e con che pietà umana è narrata!) avviene nella seconda parte del romanzo al capitolo 49. Nel capitolo 50 il narratore  commenta la morte in gas con una riflessione sulla vita come libertà e bontà. È una riflessione cardine, che percorre l’intero romanzo: alla gioia della vita si oppone la schiavitù della violenza di cui sono portatori i totalitarismi. Ed è significativo che questa pausa di riflessione preceda il capitolo 51, dove è raccontata invece la vicenda di salvazione di Semionov, di cui non si è più parlato dall’inizio (parte prima cap.3). 

Semionov, russo, è salvato dalla bontà di una vecchia ucraina, a cui la politica della collettivizzazione ha sterminato la famiglia. Dunque una medesima storia di prigionia, fame e violenza come quella di Sofja e di Semionov, ha esito opposto. E la scelta dell’autore è di parlarne in capitoli immediatamente accostati, proprio a sottolineare ulteriormente il tema della bontà concreta, contro il tema del bene astratto, che anche nel mondo più buio e stravolto continua ad esistere, esile, ma tenace.

Un altro schema di accostamento delle diverse storie è quello di evidenziare situazioni molto diverse tra loro, ma dall’esito analogo. Anche qui sono possibili vari esempi. Ma ne basti uno. 

Nella terza parte del romanzo negli ultimi 10 capitoli è narrata la conclusione delle vicende di Novikov, di Strum, di Krymov, di Spiridonov. Sono personaggi molto diversi nel carattere e nella storia che vivono, ma tutti sono sconfitti dal totalitarismo degli apparati di partito. Novikov il carrista vittorioso è richiamato dal fronte per rispondere delle sue azioni coraggiose e capaci di assumersi delle responsabilità. Strum che resiste agli attacchi dei funzionari di partito sempre più pesanti, perché ebreo, finisce poi col firmare una lettera contro il presunto complotto dei medici ebrei. Krymov il bolscevico, compagno di Lenin finisce imprigionato e torturato alla Lubianka. Spiridonov, direttore della centrale elettrica di Stalingrado, che ha resistito a lungo al di qua del Volga sotto l’attacco tedesco è accusato dal partito di negligenza per aver abbandonato la centrale stessa il giorno prima della controffensiva sovietica ed è dispensato dall’incarico e destinato ad andare negli Urali a dirigere una vecchia centrale. 

Di tutti questi personaggi diversi si narra un unico destino di reietti. Tutti sono colpiti, ma forse non sono distrutti. Il racconto, con la fine sensibilità che denota il grande artista, tace sul loro futuro, che resta aperto e sconosciuto al lettore. Che ne sarà di Novikov? sarà rilasciato, tornerà alla sua povera vita d’anteguerra? e Strum? come potrà sopportare il rimorso per quella firma e come potrà lavorare alla costruzione della bomba atomica? e Krymov? morirà sotto tortura, finirà in un gulag, sarà liberato? E Spirdonov con Vera, con il suo bambino e con Aleksandra Vladimirovna come vivrà lontano dalla casa di Stalingrado? 

Vita e destino è un classico

Vita e destino è un romanzo storico. Racconta eventi realmente accaduti alla metà del XX secolo, l’invasione tedesca della Russia, il genocidio degli ebrei nelle retrovie del fronte, la battaglia di Stalingrado. Poiché questo genere di romanzo è “misto di storia e di invenzione”, alcuni personaggi sono realmente esistiti (Hitler, Stalin, i loro generali), altri (e quanti!) sono inventati. Ma tutto quello che questi personaggi inventati pensano e fanno non poteva che essere pensato e fatto, se non in quelle particolari circostanze storiche; anzi le azioni e le riflessioni dei personaggi inventati servono a far capire meglio ciò che è accaduto storicamente. I personaggi sono inventati, ma ci fanno capire il mondo sovietico meglio e con più chiarezza dei libri di storia. Robert Chandler, il traduttore di Vita e destino in inglese, dice che ogni personaggio del romanzo è uno spaccato del mondo sovietico: Strum, l’intellettuale ebreo; Abarčuk e Krymov, i bolscevichi finiti nelle purghe degli anni Trenta; Getmanov, l’homo novus dell’epoca staliniana; Novikov, il soldato capace e competente alle cui mani è affidata la difesa della patria, ma sempre sotto il controllo del partito,… 

E’ comprensibile dunque che questo romanzo abbia suscitato nei suoi primi lettori le emozioni legate ad un tempo che essi ricordavano in prima persona e la paura di chi sa di rischiare la vita a pubblicare un tal romanzo (e per questo lo censurarono!).

 Ma questo non significa che Vita e destino sia un romanzo legato ad una data epoca. In Vita e destino Stalingrado non sarà mai stata e sarà sempre. Come Troia nell’Iliade. Semion Lipkin ricorda che Grossman lesse l’Iliade negli ultimi anni e se ne innamorò. Perché anche lui aveva scritto un classico e Vita e destino è un classico, un racconto , secondo la definizione di Italo Calvino, che non avrà mai finito di dire ciò che dice, almeno finché 

……………………………     il sole                                                                                            
risplenderà su le sciagure umane.


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