Diario di uno studente in guerra

Diario di uno studente in guerra. Dmytro Ovad, 21 anni, studente universitario a Padova, viveva a Vicenza con la madre. È partito per l’Ucraina, spiegando le sue motivazioni in un’intervista. Dal primo marzo scrive un diario dal fronte per i lettori del Corriere del Veneto.

Su ItalianaContemporanea questo testo è rubricato nella pagina “Ucraina“. I sei diari dei primi sei giorni constano di 2.421 parole e richiedono un tempo di lettura di 11 minuti circa.


Diario di uno studente in guerra. 1 marzo, primo giorno 

Il viaggio dal Veneto all’Ucraina è stato stressante anche per via degli aggiornamenti, sempre peggiori, che mi arrivavano via Telegram. Sono salito sul pulmino sabato mattina, dopo aver incontrato il prete che guida la comunità di miei connazionali che, come me, abitano a Vicenza. Mi ha benedetto, mi ha regalato una croce e una Bibbia. E poi siamo partiti: io, i due autisti, e cinque donne intenzionate a strappare i propri figli dal teatro di guerra per portarli in Italia. Abbiamo impiegato trentasei ore per arrivare a destinazione. All’alba abbiamo raggiunto il confine polacco: la parte più critica di questa nostra traversata. La situazione, lì, è drammatica: dal lato ucraino ci sono quasi quaranta chilometri di auto incolonnate.Gente in fuga, che carica in auto quelle poche cose che intende salvare e si dirige alla frontiera. Al volante, in genere, ci sono gli uomini. Al loro fianco la moglie e dietro i figli. Rimangono imbottigliati per giorni, in attesa di coprire quelle poche decine di chilometri che li separano dalla frontiera. Nel frattempo sopravvivono come possono, dormendo nei sacchi a pelo e accendendo il fuoco nei bidoni per riscaldarsi. E quando finalmente arrivano a destinazione, donne e bambini entrano in Polonia mentre il capofamiglia torna indietro, per andare a combattere. Dalla parte opposta la situazione non è molto diversa per chi —amici e familiari che vivono all’estero — attende i rifugiati per portarli lontano, al sicuro. La situazione è drammatica e c’è molta tensione. Quando una delle signore che viaggiavano con me ha tentato di riprendere con il telefonino una famiglia in fuga, un soldato è accorso, puntandoci contro il fucile: temeva fossimo delle spie russe. Entrati in Ucraina, ci siamo lasciati alle spalle le colonne di auto per dirigerci in un paesino che dista 25 chilometri da Ternopil: è qui che sono cresciuto fino all’età di 10 anni, prima di raggiungere mia madre in Italia. Da Vicenza abbiamo portato le medicine che i miei connazionali sono riusciti a raccogliere in questi giorni: beni preziosi, che abbiamo subito consegnato alle autorità. La situazione appare tranquilla, anche se all’ingresso dell’area metropolitana ci sono dei posti di blocco: si può entrare soltanto mostrando i documenti e pronunciando «Palanyzua», che vuol dire “crèpes” e che i russi, per quanto si esercitino, non riescono a pronunciare correttamente. È un modo come un altro per evitare che nei quartieri si infiltrino nemici «travestiti» da ucraini. Sul telefonino mi arriva un messaggino: c’è un allarme missili in arrivo. Occorre spegnere le luci per evitare di trasformare la propria abitazione in un facile obiettivo. Il buio fa paura, ma aiuta a proteggerci.

2 marzo, secondo giorno

Io e un mio amico siamo stati nella caserma di arruolamento che si trova poco fuori Nizchi Lubyanki, il mio paese, nell’Ucraina occidentale. C’era una fila interminabile di uomini e donne, dai 30 ai 40 anni, che si offrono come volontari per andare al fronte. È come se tutti volessero dare il proprio contributo per difendere il Paese. L’obiettivo è evidente: occorre respingere le truppe di Putin prima che arrivino anche in questa regione, tra le nostre case. Una signora chiedeva i documenti e lo stato di salute di ognuno. Ci siamo fatti avanti ma ci è stato spiegato che per il momento i giovani vengono tenuti lontani dalle zone di guerra: adesso c’è bisogno di soldati già formati, gente con esperienza di combattimento. «Il vostro turno verrà più avanti», ci hanno assicurato. Non resta che aspettare. In attesa di capire quando sarà possibile arruolarsi, con il mio amico abbiamo deciso di entrare nei «Gruppi di difesa delle città», che sono dei team di volontari, alcuni dei quali armati, che hanno il compito di proteggere il territorio tenendo alla larga gli infiltrati russi. Il ritrovo era in una cantina, e da lì un poliziotto ci ha accompagnati alle porte del paese per istruirci su come allestire un nuovo posto di blocco lungo la strada principale che collega Ternopil a Kiev. Siamo una ventina di volontari, e a ciascuno verrà affidato un compito diverso. Occorre montare delle strutture di metallo e installare i blocchi di cemento che dovrebbero impedire, o per lo meno rallentare, il passaggio dei blindati nemici. Il poliziotto ci ha anche spiegato che dovremo preparare circa duecento bombe molotov che poi verranno nascoste lì vicino, pronte per essere utilizzate all’occorrenza. Cominceremo subito: l’allestimento dei posti di blocco è un compito delicato ma fondamentale, che ci terrà occupati per qualche giorno. Intanto sono stato assegnato al mio primo servizio di ronda: in cinque per auto, assieme a un volontario armato con un fucile da caccia, abbiamo perlustrato le strade della città fino a notte fonda. L’obiettivo è tenere alla larga gli uomini – tra loro anche traditori ucraini – al soldo dei russi che, per poche decine di dollari, si aggirano sui tetti segnando gli obiettivi sensibili con delle croci fatte con colori facilmente individuabili dagli aerei e dai droni nemici. Episodi simili sono stati segnalati in diverse città, occorre impedire che si verifichino di nuovo. Mentre giravamo in macchina Nizchi Lubyanki era buia e deserta: c’è il coprifuoco e nessuno, a parte i Gruppi di difesa, si azzarda a uscire. Qui fa freddo, nevica. E questo rende tutto un po’ più faticoso.

3 marzo, terzo giorno

Le notizie che arrivano dal fronte di guerra sono sempre più allarmanti. Gli scontri si concentrano nell’area est del Paese e quindi – almeno per ora – Nizchi Lubyanki, il mio paese, rimane al riparo dagli attacchi. Ma ci si prepara a resistere anche qui. Il «Gruppo di difesa» al quale ho aderito si allarga di ora in ora: siamo almeno cinquanta volontari, alcuni molto giovani, e ci ripetiamo che se i russi arriveranno dovremo essere pronti a respingerli. Si lavora per rinforzare i posti di blocco lungo la strada principale che da Kiev porta a Ternopil, con blocchi di cemento, vecchie automobili e c’è chi sta costruendo delle grosse catene. Ogni cosa sembra poter tornare utile a rallentare l’eventuale avanzata dei mezzi militari. Siamo stati occupati anche nella produzione delle molotov mescolando benzina, olio motore e del polistirolo, che serve ad aumentare la forza distruttiva delle bombe. Per ora non ne abbiamo preparate molte, perché c’è chi sostiene che vadano utilizzate entro 48 ore altrimenti rischiano di non funzionare come dovrebbero. Però, in una zona isolata appena fuori dal paese, ci stiamo allenando a utilizzarle e non è facile come può sembrare. Abbiamo ricevuto le istruzioni su come accenderle e lanciarle, e per ora fingiamo che il blindato nemico sia un sasso: l’obiettivo è centrarlo con la bottiglia. Occorre prestare molta attenzione, calibrando anche la forza delle braccia perché a volte il vetro è duro e non si rompe così facilmente. Ho insistito per provarci e i miei compagni mi hanno preso in giro perché ho mancato il bersaglio. Si ride anche di questo, in un Paese in guerra. E va bene così, perché un po’ di leggerezza è ciò che serve per allentare la tensione. Ad ogni modo dovremo allenarci con costanza, e l’unica consolazione è che non sono stato l’unico a non colpire quel benedetto sasso. Ieri ho parlato un po’ con i miei genitori, a Vicenza. Mamma è preoccupata, fosse per lei mi telefonerebbe in continuazione. Da quando il mio nome è finito sui giornali ricevo molti messaggi di solidarietà e richieste di interviste. Mi scrivono persone che non sentivo da tempo, e non sempre riesco a rispondere. In tanti, dall’Italia, vogliono notizie e chiedono informazioni su come supportare il popolo ucraino, e questo è confortante. Sento la mancanza dell’Università di Padova, di studiare, di discutere con i miei compagni di Scienze politiche. Ma mi ripeto che presto tornerò alla mia vita di prima, quando tutto questo finirà. 

4 marzo, quarto giorno

In questa guerra, le donne rivestono un ruolo importante. Ci sono ucraine che imbracciano le armi al fronte e che rimangono uccise. E anche qui, nell’area occidentale del Paese, dove per fortuna i bombardamenti non sono ancora arrivati e i mezzi militari russi restano lontani, molte ragazze si stanno dando da fare. Lavorano senza sosta, anche cucendo i teli mimetici che serviranno a coprire le trincee o i nascondigli. Una vecchia scuola della città è stata adattata a mensa: lì dentro cucinano il varenyki – un piatto tradizionale fatto di pasta ripiena di patate, cavolo, carne e formaggio – da inviare ai soldati al fronte ma anche per organizzare delle scorte alimentari, in vista dei profughi che si attendono dall’Est. Sui canali Telegram, infatti, da giorni rimbalza la notizia che potrebbero presto arrivare le famiglie dei nostri connazionali in fuga dalle zone bombardate e l’intera regione si prepara ad accoglierli, allestendo alloggi e tutto il necessario. Anche per bambini sfollati. Neppure i volontari del «Gruppo di difesa della città» restano con le mani in mano. Abbiamo trascorso la giornata spaccando la legna da ardere raccolta nei boschi qui intorno, per poi accatastarla: c’è ancora molto freddo e servirà anche per riscaldare le abitazioni dei rifugiati in arrivo. Nel frattempo ci stiamo dando dei nuovi turni per le ronde che servono a tenere alla larga eventuali infiltrati russi: ormai il Gruppo di difesa al quale appartengo è composto da decine e decine di uomini, e quindi sta diventando più facile trovare volontari disposti a trascorrere la notte a pattugliare le strade del paese. Nei giorni scorsi sono andato in visita a un ospedale a pochi chilometri da Nizchi Lubyanki e sono rimasto impressionato dalla lunga fila di persone che attendono – a volte anche per ore – di donare il proprio sangue. Le stesse code che ho visto nei centri allestiti per la raccolta di cibo, abiti e medicinali che poi vengono caricati su dei furgoni che alcuni volontari si impegnano a guidare fino alle zone sotto attacco, dove vengono distribuiti. Tutto questo per dire che la gente è compatta, pronta ad aiutare il prossimo. Una cosa appare evidente a tutti: la solidarietà e l’impegno sono l’arma più forte che ha l’Ucraina per vincere questa terribile sfida.

5 marzo, quinto giorno 

Oggi i volontari del «Gruppo di difesa della città» si sono radunati nella piazza del paese. Ad attenderci c’erano un medico dell’ospedale e un veterano della guerra, che ha combattuto alcuni anni fa nel Donbass. Ad ascoltare la loro «lezione» eravamo una quarantina di uomini. Il medico ci ha dato alcune nozioni di primo intervento, nel caso che un nostro compagno rimanga ferito in battaglia. Poche, semplici istruzioni per la rianimazione, per arrestare l’emorragia di sangue o per tamponare una ferita da proiettile. Nei prossimi giorni ci eserciteremo. Poi abbiamo ascoltato a lungo i racconti del veterano di guerra. Si è presentato all’incontro con il suo kalashnikov, il «famoso» fucile d’assalto AK-47, e per prima cosa ci ha augurato di non doverlo mai utilizzare. La lezione è stata anche «pratica»: ci ha mostrato come assemblarlo e smontarlo. A turno ci abbiamo provato anche noi. Visto con gli occhi di un italiano può sembrare assurdo ma fino a qualche anno fa, qui in Ucraina, lo si insegnava perfino nelle scuole e quindi alcuni volontari hanno da subito dimostrato una buona dimestichezza nel maneggiare l’Ak 47. Non è il mio caso: mi sono trasferito a Vicenza quand’ero ancora bambino ed è stata la prima volta in vita mia che ho tenuto un’arma in mano. È stata una sensazione strana. Maneggiare un Kalashnikov può mettere qualche timore, ma le istruzioni su come usarlo sono servite proprio a prendere confidenza con il fucile, in attesa di capire se le truppe russe arriveranno anche qui, nell’area occidentale del Paese. Una cosa ci ripetiamo in continuazione: se ci sarà da combattere, ci faremo trovare pronti. Dopo la lezione ci siamo trasferiti in un terreno alle porte della città, dove abbiamo riempito decine di sacchi di terra, che contribuiranno a rafforzare i posti di blocco lungo la strada principale che da Kiev porta fino a qui. Resta una delle priorità: rallentare l’eventuale avanzata dei blindati nemici, significa dare alla popolazione il tempo necessario a mettersi in salvo. Intanto su Telegram arrivano continui aggiornamenti dal fronte, ma anche sulle trattative in corso tra i delegati di Putin e i rappresentanti dell’Ucraina. Tra la gente non c’è molto ottimismo, nessuno si fida del nemico e spesso sento ripetere una frase che viene attribuita a Otto von Bismarck, il primo cancelliere dell’impero tedesco: «Un accordo con la Russia non vale neppure la carta sul quale è stato scritto». Quasi due secoli dopo, l’impressione diffusa è che la Russia sia rimasta sempre la stessa.

Diario di uno studente in guerra. 6 marzo, sesto giorno

Anche a  Nizchi Lubyanki  arrivano i primi profughi in fuga dalle zone bombardate dai russi. Questa è una zona di passaggio quasi obbligato, per via della strada che da Kyev porta fino a Ternopil e da lì si dirama, consentendo di raggiungere i confini con l’Ungheria, la Polonia o la Romania. Chiunque in casa ha delle stanze libere le sta mettendo a disposizione dei rifugiati. È quello che farò anch’io, per ospitare una famiglia con bambini che abita nella capitale e che intende mettersi in salvo superando la frontiera romena. Prima bastavano tre ore d’auto per raggiungerla, ma ora ne occorrono almeno nove, per via delle strade intasate a causa della gran numero di ucraini che ha deciso di mettersi in viaggio e per i posti di blocco che s’incontrano lungo il percorso. La sensazione è che, almeno per donne e bambini, le nostre città serviranno solo come tappa momentanea, e quindi rimarranno qui appena una o due notti prima di dirigersi oltre-confine. I maschi, invece, dovranno tornare indietro a combattere. La scuola, che in questi giorni era stata adattata a mensa, ora è stata riempita di letti: chi non troverà un alloggio migliore, potrà riposare lì. Intanto anche le famiglie che vivono qui intorno, nell’area ovest dell’Ucraina, si domandano se presto toccherà a loro evacuare. C’è chi ha già cominciato a organizzarsi, ma non è facile. Uno dei problemi lo sto sperimentando direttamente: mia nonna è gravemente malata, ha bisogno di continua assistenza e non può affrontare un viaggio fino in Italia o in qualunque dei Paesi europei che stanno accogliendo i rifugiati. E come lei ci sono altri infermi condannati a rimanere bloccati qui, costringendo di conseguenza i parenti a fare scelte strazianti: abbandonarli per fuggire all’estero, salvando così se stessi e i propri figli, oppure restare a casa per prendersi cura di loro, correndo il serio rischio di restare uccisi? Mentre i civili sono alle prese con questi problemi, prosegue l’attività del Gruppo di difesa che vigila sulla città. L’afflusso di nuovi volontari è continuo: tutti vogliono dare una mano per arginare l’avanzata del nemico. Martedì io e altri appartenenti al Gruppo siamo attesi a Ternopil per la prima esercitazione di autodifesa e di utilizzo del Kalashnikov. Dopo la scorsa lezione su come si assembla e si smonta il fucile d’assalto, ora è arrivato il momento di imparare a sparare.

Guida alla lettura

A) Il testo è un diario e come tale registra gli avvenimenti giorno per giorno. Scrivete una scaletta degli eventi narrati:

  1. la partenza dall’Italia,
  2. le 36 ore per raggiungere…
  3. …..

B) Il diario oltre alla cronaca contiene parti descrittive di luoghi e di persone e di oggetti (le armi, ad esempio). Fate un elenco dei luoghi (di quelli attraversati e quello in cui lo studente si è stabilito)e delle persone incontrate.

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